SALA DEGLI ARTISTI, SABATO 27 MAGGIO 2023, proiezione gratuita di “Figlia mia” di Laura Bispuri, un film che esplora in profondità il tema della maternità.
Siamo ormai arrivati al quarto appuntamento del ciclo cinematografico “Storie di adozione” promosso dall’associazione Famiglie Adottive Insieme, in collaborazione con la Sala degli Artisti di Fermo, dove il ciclo si svolge. Dopo “L’incredibile vita di Timothy Green” di Peter Hedges, una bellissima storia fantastica, tutta giocata sul desiderio di paternità e di maternità di una coppia senza figli; L’Arminuta del regista Giuseppe Bonito, tratto dal bellissimo romanzo omonimo di Donatella Di Pietrantonio, con la storia di una ragazza cresciuta tra due famiglie, quella biologica e quella adottiva, il “Nowhere Special” di Umberto Pasolini, con la centro il tema di una paternità impossibile, SABATO 27 MAGGIO sarà la volta di “Figlia mia” di Laura Bispuri, un film che esplora invece in profondità il tema della maternità. “La piccola Lola” di Bertrand Tavernier, con la vicenda drammatica di una coppia negli orfanotrofi di un paese martirizzato dalla storia, la Cambogia, chiuderà il ciclo sabato 10 giugno.
Come sempre, anche la proiezione di sabato 27 maggio inizierà con una breve presentazione sulla tematica del film in programma e sulla realtà della situazione affidataria e adottiva nel nostro territorio fermano. Questa volta avremo come ospiti le operatrici dell’Ambito territoriale sociale XIX che ci guideranno nella presentazione: le Assistenti sociali Dott.ssa Gioia De Santis e la Dott.ssa Michela Siliquini. Per lo scorso appuntamento di Sabato 13 maggio invece ci eravamo avvalsi della collaborazione degli esperti del Consultorio Familiare di Poto San Giorgio.
Per chi non fosse ancora mai intervenuto ai nostri appuntamenti precedenti, ricordiamo che l’appuntamento presso il Cinema Sala degli Artisti, in via Goffredo Mameli n. 2, a FERMO, è per le ore 16.30 con il momento introduttivo a cui farà seguito la proiezione del film. Sino ad ora la partecipazione agli appuntamenti è stata notevole. Nel suo complesso, una iniziativa importante che intende offrire, attraverso la strumento cinematografico e quindi assolutamente godibile, un vero approfondimento culturale su una problematica, quella adottiva, davvero sconosciuta o peggio ancora “misconosciuta”, conosciuta davvero male, come si dimostra di tanto in tanto da vicende che assurgono agli onori della cronaca nazionale.
L’associazione Famiglie Adottive Insieme ricorda che la partecipazione alla presente iniziativa e l’ingresso alla sala cinematografica, per un pomeriggio in cui riflettere divertendosi, sono completamente gratuiti. Vi aspettiamo, come sempre, numerosi.
Per informazioni e contatti si può chiamare il cell. 347-0603932 o scrivere una email all’indirizzo famiglieadottiveinsieme@gmail.com.
Famiglie Adottive Insieme OdV, in collaborazione con il CSV Marche, è lieta di presentare il primo appuntamento di un percorso seminariale denominato “Ali che cercano radici“, in programma per Venerdì 11 Giugno 2021, alle ore 21.oo, su piattaforma digitale, dedicato al tema:
L’associazione Famiglie Adottive Insieme si è distinta, fin dal suo primo formarsi come gruppo, per una spiccata vocazione all’autoformazione e alla formazione, sulle tematiche riguardanti la tutela dei Minori ed in particolare dell’Affido familiare e dell’Adozione sia nazionale che internazionale.
In questa nuova proposta formativa vogliamo focalizzare l’attenzione principalmente sulla figura dell’adottato adulto, ormai divenuto protagonista e attore sociale lui stesso. Abbiamo voluto titolare questo nuovo percorso formativo – che prevede altri due seminari oltre a quello presente: “Ali che cercano radici”; una sorta di ossimoro che fa perno sia sul “volare”, come cifra delle tante esperienze di vita vissuta e da vivere; sia sulle “radici” che indicano il bisogno di stabilità e di ritorno alla propria identità nativa, bisogno tipico di ogni adottato specialmente adulto.
DEVI VETTORI e MANUEL ANTONIO BRAGONZI, i nostri ospiti di Venerdì 11 Giugno 2021, sono persone che hanno vissuto l’esperienza dell’adozione e che hanno intrapreso iniziative per narrare la propria esperienza anche attrverso pubblicazioni e incontri pubblici.
Testimonianze dal Mondo dell’Adozione 2: Manuel Bragonzi
Ringraziamo Manuel Antonio Bragonzi per aver partecipato al nostro incontro e per aver condiviso con noi emozioni e importanti riflessioni.
Manuel Bragonzi
L’incontro con Manuel ci ha portati in una storia unica, dolorosa e drammatica, ma nella quale la bellezza ha avuto un ruolo fondamentale.
Ripensando a Manuel che ci racconta, il cuore partecipa a tutto.
Al dolore fisico di quella violenza, di quella vita abbrutita di colui che chiamava nonno, bruciata dagli stenti, dall’alcool, e infine da Manuel stesso.
Al dolore per la violenza brutale che porta via la mamma lasciando solo, un figlio di tre anni. Una donna che riesce comunque, in quel contesto, a trasmettere alla sua creatura talmente tanto amore, che sarà sufficiente a salvargli la vita dalla cattiveria e dal male.
Il ritratto di mamita Isabel è per Manuel un ricordo straziante e doloroso ma prezioso e pieno di tutto quell’amore che lei ha lasciato nel suo piccolo grande cuore.
La bellezza riprende la vita di Manuel, quando incidentalmente incendia la casa e scappa. Si ferma a guardare da lontano il villaggio con la casa in fiamme e nella purezza dei suoi occhi, vede la bellezza di un fuoco nella notte.
In quel momento la sua piccola vita ricomincia, partendo da ciò che non può sapersi spiegare un bambino di cinque anni, partendo da un fuoco nella notte che si riflette nella luce dei suoi occhi.
Si rifugia nel bosco di eucalipti.
Manuel scappa da una impossibile esistenza, e si rifugia nel bosco che lo include nel suo ecosistema, lui ne diventa parte, percepisce un senso di fusione profonda con la natura, cammina guardando il cielo tra le chiome degli alberi, si nutre di bellezza. Il bosco lo contiene, lo protegge, lo nutre, come una madre con il proprio figlio. È un luogo di silenzio, ma non di solitudine, è vicinanza discreta, è spazio, è tempo, è cura. Manuel sa riconoscere la bellezza perché nella sua breve vita con la madre ne aveva fatto esperienza. È solo ma ritrova se stesso, pur essendo così piccolo, riesce a fare un percorso di consapevolezza su chi è e sul suo posto nel mondo. La sua vita è importante e fa parte della bellezza del mondo.
Dal bosco Manuel viene portato in orfanotrofio e da lì adottato da due genitori italiani. La storia dell’adozione è la parte che ci riguarda di più come associazione. Toccante il suo racconto con l’immagine del primo incontro con i genitori, i loro occhi spalancati di meraviglia su di lui e il suo (“io dissi di si…”) abbandonarsi in un abbraccio di cui aveva un disperato bisogno, il suo ritornare emotivamente indietro e recuperare tutto il contatto necessario, riprendersi una infanzia negata da esperienze che lo avevano fatto crescere troppo in fretta. Il cercare dai genitori quello sguardo esclusivo su di sé.
Un’altro momento importante è stato il prendere consapevolezza che stava lasciando la sua terra, guardandola allontanarsi e sparire dal finestrino dell’aereo. L’adozione comporta spesso anche questo tipo di sradicamento, la separazione anche dai propri luoghi.
Manuel si sente orgogliosamente cileno ed ha sempre difeso questa appartenenza.
Grazie Manuel, grazie alla tua voce di figlio che, per aver fatto un grande percorso personale, si mette a disposizione del mondo dell’adozione, prende per mano e guida figli nel loro cammino di ricerca di se stessi,
e genitori che hanno bisogno di sapere tanto dei sentimenti e pensieri che fanno parte della vita dei loro meravigliosi figli.
Tanti spunti di riflessione anche dagli interventi :
Il dolore del lutto è diverso dal dolore dell’abbandono. I genitori devono accompagnare, camminare al fianco del figlio reale senza cercare di sovrapporre le aspettative del figlio ideale. La gratitudine verso la madre. L’attesa vissuta dai figli.
Grazie perché ci hai donato emozioni, una parte importante della tua storia, e ci hai lasciato davvero tanto.
Mi è capitato ieri sera, quello che mi capitava spesso da ragazzo, quando mi immergevo talmente in una lettura appassionante, ad esempio uno dei meravigliosi romanzi di Salgari, che la storia mi prendesse talmente tanto che andavo avanti per ore a leggere fino a perdere la cognizione del tempo: “ma abbiamo fatto cena o dobbiamo ancora mangiare?”.
Ieri sera però il libro che mi ha appassionato talmente tanto – IL BAMBINO INVISIBILE – non era un romanzo, ma una storia vera, ambientata nel Cile di Pinochet, nei primi anni Ottanta, in fondo un tempo per niente remoto, almeno per la mia generazione che in quegli anni terminava i propri studi universitari e cominciava a diventare protagonista nella società. In un Cile di cui il mondo parlava e conosceva per la feroce dittatura fascista seguita alla breve parentesi socialista di Salvator Allende il primo leader marxista andato al potere con libere elezioni popolari. Il Cile degli anni settanta e ottanta grondava di politica, per la mia generazione. Era per noi il Cile degli Inti-Illimani, de “Il pueblo unido jamas sera vencido”, una delle poche canzoni che mi piaceva cantare a squarciagola.
Ma niente di tutto questo troviamo nel libro che ho letteralmente divorato ieri sera, ambientato in un villaggio senza tempo, abitato da una umanità triste, da “un pueblo” degradato dalla fatica durissima, dall’alcool, dal risentimento e dalla violenza, totalmente “disunito”. Un villaggio senza luce elettrica, senza servizi di alcuna sorta, dove l’unico avvenimento di rilievo che poteva parlare di una mondo lontano e diverso era il pullman che passava una volta a settimana e su cui pochissimi salivano. Un villaggio dove tutti sapevano tutto di tutti, ma dove tutti erano chiusi in un silenzio duro e ostile che anche il vicino di casa poteva diventare uno sconosciuto nemico.
Protagonista un bambino di cinque anni: “il bambino invisibile”, come recita il titolo del libro, un bambino di strada, uno come ce ne sono stati tanti, milioni, e ce ne sono ancora in America Latina e nel resto del mondo. Ma normalmente si parla di “Meniños de rua” nelle periferie di grandi città o agglomerati urbani; e si parla di bambini e ragazzi che vivono in gruppo sotto i ponti o in ripari di fortuna, dopo aver tagliato ogni legame con le loro famiglie di origine. In Cile ce ne saranno stati sicuramente tanti a Santiago, la capitale. Ma qui, nel villaggio di cui parla questo libro, siamo a duecento kilometri da Santiago, in un mondo arcaico e lontano. Manuel il protagonista è un “bambino di strada”. Ma la sua strada è solo una strada sterrata che dal villaggio porta ad un bosco di eucaliptos e lui, Manuel, è piuttosto un “bambino del bosco”, che vive da solo, dorme ai piedi degli alberi, una sorta di Mowgli del Libro della Jungla, ma che vive più vicino agli esseri umani e quindi in maniera molto più dolorosa e sofferta.
Questo bambino viveva al’interno di una famiglia che lo ignorava totalmente, perché non era la sua famiglia se non per il fatto che considerava il vecchio padre-padrone come “il suo nonnino” che lo picchiava però ogni mattina quando si svegliava e che non si interessava a lui se non per questa dose di cinghiate giornaliere. Delle altre donne che vivevano in casa, la moglie del padre padrone sua figlia e la nipote, non sapeva chi fossero. Non ricordava nulla di sua madre fino a quando un vecchio del villaggio non gli fa capire che era stata assassinata dall’uomo che lui si ostinava a chiamare “nonnino”. Allora i ricordi della sua Isabel, uccisa sotto i suoi occhi, quando lui aveva tre anni, gli torna continuamente in mente, ricorda il suo vestito, ricorda i suoi capelli, ma benché non ricordi il suo volto, ricorda il suo grande amore per lui, un amore pieno vissuto fino a tre anni che aveva generato in lui un fiducia così potente nella vita che lo aiuteranno a sopravvivere nei due anni vissuti in quella non-famiglia e poi lo aiuteranno a vivere pienamente e in totale libertà, immerso nella natura per i tre anni successivi, dopo che avrà deciso di fuggire da quella casa che non era casa per rifugiarsi nel bosco, sentendosi amato dai grandi alberi e dai piccoli animaletti e dagli uccelli che li frequentavano. Mentre il testo scorre, il racconto ci immerge sempre più nei pensieri e nei sentimenti di questo bambino che per tre anni consecutivi vive da solo e all’aperto, sentendo la Natura stranamente simile alla sua carissima Isabel, la mamma che lo aveva generato e lo aveva intensamente amato fino ai suoi tre anni. E insieme a questo amore per la natura il sentimento di qualcosa o di Qualcuno che tutto univa e tutto reggeva, lui come le piante e gli uccelli.
Tutto il racconto scorre sul filo delle esperienze del bambino, a partire dalla sua percezione della realtà. Ma il lettore, che ero io ieri sera, non poteva non pensare a quel villaggio che sapeva di questo bambino che viveva da solo nel bosco, perché spesso grandi e piccoli lo incrociavano sulla strada sterrata, ma facevano finta di non vederlo. Manuel viveva nel bosco, ma ai margini del villaggio, e in occasione di una rovinosa caduta da una grande albero, immerso in un avventuroso gioco con un uccellino, si ritrova in realtà a cadere dietro una della case del villaggio stesso, abitata da una donna, anche lei esclusa da tutti, l’unica che mostrerà un po’ di affetto per lui. Come a dire: tra esclusi, ci capiamo! Anche la “sua” famiglia sapeva che lui vagabondava nel bosco. E questo per tre interi anni. Mai nessuno che lo avesse chiamato.
Fino a che, dopo circa tre anni di questa vicenda, quando il bambino del bosco di anni ne aveva quasi otto, non furono avvertite le forze dell’ordine che andarono a prelevarlo portandolo in un orfanotrofio, da cui poi verrà adottato da una coppia italiana. Il libro termina qui, non prima però di raccontare l’incontro, anch’esso casuale ma intenso, tra Marcello Foa, lo scrittore e Manuel divenuto ormai un adulto pienamente inserito nella società milanese, sposato e con figli. Senza questa parte finale, raccontata in prima persona dallo scrittore, si sarebbe potuti restare tentati dall’idea di essere di fronte ad un’opera di fantasia, triste e delicata, ma pur sempre fantasia.
Leggendo solo questo libro, pubblicato nel 2012 e fra l’altro fuori commercio – io l’ho potuto acquistare da un rivenditore di libri usati – non si saprebbe molto di quel cittadino italiano di oggi di origini cilene. Ed ecco allora in aiuto un altro libro, scritto da GRETA BELLANDO, Un’altra immagine di me. Adulti adottati oggi genitori: un percorso di narrazione” ed ETS del 2015. Al suo interno, al capitolo 4, si parla proprio di lui, ma come adulto adottato, genitore anche lui, padre di tre bambini; in un capitolo intitolato: “Attraverso il loro sguardo rivedo il mio da bambino”.
Manuel Bragonzi
Manuel Antonio Bragonzi, quello che è stato il bambino del bosco, è oggi un uomo maturo di 44 anni; scenografo e regista, all’inizio del 2019 ha fondato Anfad – Associazione Nazionale Figli Adottivi, di cui è presidente, per aiutare altri figli adottivi. In questo 2020 con il suo contributo nasce LoveAdoption TV, un canale realizzato da adottati adulti per l’Adozione.
Giovedì 10 Dicembre alle ore 21.30 sarà ospite di Famiglie Adottive Insieme su una piattaforma digitale. Chi fosse interessato a partecipare a questo incontro potrà lasciare un messaggio sulla nostra pagina face book “Famiglie Adottive Insieme”